Fondazione A.E.M.
Con Enel S.p.a. abbiamo sviluppato un progetto di trasferimento di conoscenza che ha coinvolto le scuole di sette paesi e tre continenti nel mondo, portando l’illuminazione a 12.400 persone.
Con Enel S.p.a. abbiamo sviluppato un progetto di trasferimento di conoscenza che ha coinvolto le scuole di sette paesi e tre continenti nel mondo, portando l’illuminazione a 12.400 persone.
A un’ora abbondante da Kaffrine, raggiungibile attraverso l’assolata pista di strada battuta che congiunge gli agglomerati di capanne delle province rurali senegalesi, c’è l’ospedale di Ndiao Bambaly, presidio medico (Poste de santé) situato a 5 ore da Dakar, che serve 19 villaggi senegalesi ed è punto di riferimento per molte persone dal Gambia e dalla Casamance.
Siamo stati all’ospedale di Ndiao Bambaly la prima volta a febbraio 2019, con la prima edizione senegalese del progetto Lightforce, programma di Corporate Social Volunteering supportato dalla sede parigina dell’azienda Salesforce e dai suoi partner europei.
Accompagnati dal nostro partner locale COMI – Cooperazione per il Mondo in via di Sviluppo e dallo staff medico del presidio, con il team di volontari aziendali di Lightforce, abbiamo avuto modo di comprendere come gli ospedali delle province rurali senegalesi siano in realtà piccole strutture prevalentemente off-grid o allacciate parzialmente alla fornitura di energia elettrica nazionale che, oltre ad esporli a frequenti cali di corrente, non consente di svolgere anche le più semplici azioni in sicurezza.
A febbraio 2020, dopo numerose e-mail e telefonate con il team parigino della seconda edizione del Lightforce project, COMI e lo staff medico locale, siamo tornati a Ndiao Bambaly e abbiamo ottimizzato l’ospedale installando tre home light solution per illuminare tutti gli ambienti dell’ospedale anche nelle ore serali e alcuni pannelli solari sul tetto, fondamentali per il funzionamento continuato e indipendente del frigorifero per i vaccini e della sterilizzatrice.
Un’ora di cammino all’andata, da ripetere al ritorno se non si è fortunati nel trovare un passaggio su ruota, motrice o trainata dalla forza animale.
Questo è il tempo normalmente utilizzato dagli abitanti di Sikilo, comunità della regione di Kaffrine, per raggiungere l’omonimo capoluogo e poter ricaricare i propri telefoni cellulari.
Sikilo si trova a 6km da Kaffrine, da questa distanza deriva il nome della comunità letteralmente “Six kilomètres”, la maggior parte della popolazione lavoratrice (?) della comunità passa la maggior parte della giornata nelle città per motivi lavorativi; i più fortunati nella vicina Kaffrine, altrimenti: Kaolack, Mbour o Dakar.
Una tale distanza tra le persone e gli affetti più cari richiede l’utilizzo delle telecomunicazioni e può trovare sulla sua strada alcuni ostacoli, uno su tutti: l’accesso all’energia elettrica.
La ricarica dei sistemi mobili è un problema molto sentito nelle comunità rurali, tanto da spingerle a richiederci a più riprese di intervenire in questo campo.
Abbiamo accettato la sfida, con l’obiettivo di permettere un accesso green e gratuito alla ricarica di apparecchi mobili per le telecomunicazioni
Da questa esperienza è nato il “Mobile Charger”, postazione solare di ricarica multipla per telefoni cellulari. Tale postazione permette la ricarica di due dispositivi in parallelo, per un totale di otto ricariche totali al giorno*, in maniera completamente autonoma e green.
Le postazioni vengono installate in luoghi pubblici e accessibili delle comunità, così che possano essere liberamente fruibili e controllate.
Grazie a sistemi come il Mobile Charger abbiamo reso possibile l’accesso energetico al servizio delle telecomunicazioni, un piccolo gesto per noi, due ore di vita quotidiana per Sikilo.
*numero di ricariche riferito a smartphone di ultima generazione, telefoni meno “energivori” permettono un numero di ricariche maggiore nell’arco della giornata.
Quando si parla di comunità rurale, immediatamente si formano nella nostra mente immagini di piccole case semplici, isolate, circondate dalla natura, dove pochi esseri umani vivono dei prodotti della terra. Un’immagine quasi idilliaca, romantica, dove la pace e la tranquillità vengono scandite dai ritmi della natura. Ebbene, la ruralità è sicuramente questo. Ma la ruralità è anche freddo, caldo, vento, pioggia, animali selvatici, carestie, calamità che vanno fronteggiate quotidianamente.
Facciamo un esempio. Immaginiamo di essere in un deserto di sabbia e di dover affrontare 45 gradi all’ombra per nove mesi consecutivi fino all’arrivo delle piogge. Dopodichè, immaginiamoci tre mesi di pioggia incessante, che trasforma le strade di sabbia in fiumi marroni, i pavimenti delle case in terra battuta completamente fradici. Il tutto senza poter accedere ad alcuna forma di energia elettrica, quindi niente luce se non dalle lampade a kerosene, niente condizionatori o riscaldamento. Niente frigorifero o telefono.
Proprio questi interventi hanno portato i nostri tecnici ad interrogarsi su un sistema di illuminazione in grado di resistere a tali estreme condizioni. Dopo diversi anni di attività sul campo, test e confronti con la popolazione locale, Liter Of Light Italia ha sviluppato una tecnologia all’altezza: la lampada portatile “LIGHTBOX”.
Costituita da una scatola in plastica ABS chiusa ermeticamente, la lampada permette di essere ricaricata ad energia solare tramite un’entrata USB anch’essa a tenuta stagna. Una luce Led da 1,5 Watt sviluppa circa 60 Lumen di energia luminosa per 8 ore di utilizzo continuo. La LIGHTBOX è progettata per resistere agli urti ed impedire alla polvere di entrare e danneggiare il circuito, ma la carcassa della lampada rimane comunque ispezionabile e riparabile. La lampada presenta un’ottima resistenza all’acqua, rendendola performante anche durante le intemperie.
È possibile declinare la LIGHTBOX per diversi utilizzi: ad esempio, fissandola al tetto per avere illuminazione in un ambiente chiuso, oppure legata a sé o ad un mezzo di trasporto per illuminare una strada buia. Il sistema LIGHTBOX prevede una stazione di ricarica a cui possono essere collegate contemporaneamente fino a 5 Lampade grazie a un pannello solare da 10 Watt. Come la lampada, anche la stazione di ricarica è a prova di urti, polvere ed acqua, ed è al contempo ispezionabile e riparabile se necessario secondo l’approccio OPEN SOURCE di Liter Of Light.
Se da un lato gli aspetti tecnici ne mostrano le potenzialità, ciò che rende veramente la LIGHTBOX una soluzione innovativa, così come le altre soluzioni di Liter Of Light, non risiede tanto nella tecnologia e nel design, bensì nel processo grazie al quale si è pervenuti ad essi. Un processo che vede nord e sud del mondo uniti, che collaborano per ottenere un risultato comune. Una soluzione incentrata sull’essere umano e sulla sua resilienza, sostenibile nel lungo periodo, che risponda alle esigenze del contesto ma che al contempo venga compresa e impiegata dalla comunità rurale, seguendo gli ideali della sostenibilità e della dignità della vita.
Una soluzione pensata da e con la popolazione locale, per creare impatto reale e miglioramento della qualità della vita.
Nel tempo libero un meccanico si diletta ad “inventare” soluzioni per rendere più facile la vita domestica di tutti i giorni. Niente di sofisticato, qualcosa di semplice riutilizzando materiali trovati qua e là. Una invenzione in particolare spicca fra le altre, per la sua semplicità ed utilità. Il meccanico pratica un foro passante attraverso il tetto in lamiera della sua casa e vi alloggia una bottiglia di plastica trasparente contenente acqua e due tappi di ammoniaca. Come risultato, la luce solare che colpisce la bottiglia viene amplificata e irradiata all’interno della stanza, illuminandola per intero con una potenza di 60 lumen. Il meccanico ha appena creato un lampadario diurno che costa meno di due dollari americani.
Si dà il caso che il meccanico si chiami Alfredo Moser, e che la sua abitazione si trovi in una delle principali e più affollate favelas della città di Rio de Janeiro in Brasile. E si dà anche il caso che, come tutti i suoi vicini, il signor Moser non sia una persona particolarmente abbiente.
Da una casa di favela, l’invenzione di una mente creativa ha oggi cambiato le vite di milioni di individui in condizione di povertà energetica ad ogni latitudine e si chiama Liter Of Light.
Questo non è che un esempio dei cambiamenti che può generare la condivisione di conoscenza, e di come una soluzione semplice ed accessibile a tutti può arrivare là dove gli interessi economici la fermano: agli ultimi, ai dimenticati, agli invisibili.
Il network di Liter Of Light, pur evolvendo tecnologia e modi d’intervento, ha fatto di questa filosofia il proprio punto cardinale, applicandola a tutti gli interventi che effettua nel mondo. Per far fronte alla drammatica mancanza di accesso a servizi di base come acqua potabile, energia, alimentazione, è impensabile continuare col fallimentare approccio assistenzialista che ha caratterizzato 80 anni di cooperazione internazionale.
Proprio in ragione di valorizzare l’imprenditoria locale, Liter Of Light ha da sempre perseguito l’obiettivo “zero espatriati”. Vale a dire che se da un lato vi è una collaborazione internazionale fra i team e sovente capita di effettuare trasferte all’estero, dall’altro tutti i professionisti coinvolti nel progetto lavorano nello stesso Paese dove risiedono.
Questa scelta permette di sviluppare, assistere e monitorare da vicino tutte le attività svolte sul campo fornendo un efficace supporto alle comunità beneficiarie; allo stesso tempo, quando è necessario effettuare uno studio di fattibilità oppure viene ideato un progetto, il personale è direttamente a contatto con le comunità e questo rapporto diretto massimizza l’efficacia degli interventi.
La vicinanza geografica agli interventi effettuati riduce drasticamente i costi logistici (-70%) e conseguentemente le emissioni da essa generate. Lo spostamento su gomma o rotaia, ove possibile, genera un impatto ambientale esponenzialmente inferiore rispetto ai trasporti aerei, ed il trasferimento del know-how agli abitanti locali sulla manutenzione delle lampade lo abbassa ulteriormente.
È possibile pensare una cooperazione internazionale davvero inclusiva, responsabile, sostenibile ed efficace sul territorio, che crei resilienza ed opportunità per coloro che ne sono privi, ma per farlo bisogna partire dal basso: dai bisogni di queste persone e dal loro potenziale. Creare strumenti di reale condivisione, non di divisione.
Senza questi strumenti, continueremo a rattoppare il problema senza porvi rimedio, condannando così milioni di individui alla mera sopravvivenza.